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The World non è morto, è solo in coma. La società di Real Estate: si risveglierà
L’arcipelago artificiale di Dubai in crisi: abitata una sola isola su 300
Ma quale Armageddon! Il Mondo non sta affondando, non è morto, è soltanto in coma, dice l’avvocato di Nakheel Properties, la società di real estate cui lo sceicco e padrone di Dubai Mohammed Bin Rashid Al Maktoum ha affidato lo sviluppo dello “spicchio” di futuro più visionario dell’emirato. Prima di viaggiare in avanti, però, occorre fare un salto indietro nel tempo. La “Las Vegas araba”, con i suoi grattacieli, centri commerciali giganteschi e locali glamour, può contare solo su un ventesimo delle riserve petrolifere di Abu Dhabi e su entrate in petroldollari molto inferiori rispetto agli altri emirati vicini (sette in tutto, già “Stati della tregua”, che compongono la monarchia assoluta federale degli Emirati Arabi Uniti). Da qui, la sua vocazione marittima, commerciale, turistica e di «sirena» di investimenti stranieri, concentrati soprattutto sul settore immobiliare; nel 2006 a Dubai c’era il 23% delle gru in funzione nel mondo.
Sono nate, così, le “visioni”. La trilogia di The Palm, i tre arcipelaghi artificiali a forma di palma (uno finora realizzato). L’avveniristico Waterfront e soprattutto The World, l’arcipelago di trecento isole a forma di mondo, con i vari continenti “ancorati” nelle acque del Golfo Persico a circa 4 chilometri dalla skyline della “city” e su una superficie di 55 chilometri quadrati.
Una sfida lanciata con milioni di tonnellate di sabbia e roccia nel 2003 e parzialmente cavalcata da Dubai sino al 2008, con il completamento della cinta di difesa esterna della “nuova Gaia” in formato politico e gli annunci di transazioni milionarie con star del cinema, dello sport e del business, tutti attirati dal sogno di possedere un’isola privata. Poi, la grande frenata del 2009. La crisi economica glòbale, l’incendio dei debiti sovrani che da Dubai si è propagato alla Grecia, Spagna, Irlanda. Dubai World, la gigantesca holding di Stato, aveva scricchiolato forte: esplosione della bolla immobiliare, gru ferme, un debito di 23,5 miliari di dollari. Per l’emirato, il rischio di veder accecate dal ghibli della crisi le sue “visioni” e anche il ricorso all’aiuto della ricca Abu Dhabi: l’edificio più grande del mondo si doveva chiamare Burj Dubai, ma adesso – dopo il “piano Marshall” dei “cugini”: un bond da 10 miliardi di dollari – si chiama Bury Khalifa, in onore dello sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahayan, presidente di turno degli EAU nonché emiro di Abu Dhabi. Oggi il debito di Dubai World è stato ristrutturato (con le magie del “Metternich dei bilanci” Aida Birkett, senior manager di Deloitte), il governo ha “salvato” anche la sua costola Nakheel Properties (in difficoltà su un prestito di 3,5 miliardi di dollari) e nella “Las Vegas araba” le cose sembrano andare meglio (il governo prevede nel budget 2011 – che andrà al 23% in infrastrutture – un deficit minore delle attese, pari a 1,03 miliardi di dollari). Ma non per The World, la “visione” più grande.
Nel febbraio scorso il tabloid britannico Daily Mail pubblica una fotografia scattata da uno degli astronauti dell’ISS Expedition il 13 gennaio 2010 («con una semplice macchina fotografica da 3 mila sterline») e sostiene che il progetto è fermo. Non solo: The World sta anche erodendosi e affondando. Nakheel Properties smentisce, attacca i “report speculativi” e spiega che i “cedimenti” non sono superiori ai livelli previsti (spiega che è colpa della vibro-compattazione, la tecnica usata nel dare forma a queste isole di sabbia, roccia e cemento). Insomma, la società afferma che “il Mondo” non va alla deriva, ma anzi, segue il suo corso, pur con qualche ritardo sui tempi, e che sono già state vendute il 70% delle isole. I tabloid inglesi, però, ora tornano all’assalto. No, niente più foto dallo spazio, ma una più terrena vertenza legale tra Nakheel Properties e Penguin Marine, una società di Singapore che ha preso in esclusiva il servizio di trasporto tra i “continenti” di The World.
Il suo avvocato, Richard Wilmot-Smith, al tribunale speciale designato a dirimere la diatriba descrive The World come un mondo “vicino alla fine”. “Sta affondando”, sotto l’erosione del mare. Parla di degrado, di “fuggi fuggi” degli investitori (qualcuno è anche finito nelle carceri di Dubai, perché insolvente). E di fallimento. “Il mondo è vuoto”, dice Wilmot-Smith. L’unica isola abitata sarebbe la Groenlandia, perché la villa che la domina è del governo. E Penguin Marine a fronte di tale presuntra “deriva” non vuole più pagare il fee annuale dovuto a Nakheel Properties di 1,86 milioni di dollari.
La difesa della società di sviluppo della «visione» più grande di Dubai? Il legale Graham Lovett ammette che il progetto decennale di The World si è fermato, nega che stia affondando più del previsto e sfodera l’asso: “The World non è morto, è solamente in coma”. L’avvocato assicura che “si risveglierà”, cioè che «il Mondo» sarà completato, e che, allora, Penguin Marine guadagnerà una barca di soldi. Nel frattempo, però, la società di servizi deve continuare a pagare il dovuto: questo il prezzo del sogno di ricchezza. L’arringa convince il giudice, che dà ragione a Nakheel Properties. Intanto, i prezzi degli immobili nella sono crollati del 58% rispetto al picco del 2008 e secondo un sondaggio Reuters caleranno ancora del 10%.
Autore: Fabio Pozzo
Fonte: LaStampa.it
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