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A proposito, ma che fine ha fatto la cedolare sugli affitti?

– Di tutti i figli era il più bello. Ed anche il più coraggioso: non solo faceva piazza pulita di una dozzina di gabelle, sostituite da due sole imposte municipali sugli immobili e l’occupazione di aree pubbliche, ma si spingeva più in là, fino a ridurre il carico fiscale sugli affitti con una cedolare secca che sfuggiva ai criteri di progressività dell’imposta sul reddito.

A differenza dei suoi fratelli più grandi (il federalismo demaniale e Roma capitale), il federalismo municipale aveva di buono il fatto di promettere benefici immediati per i cittadini. Certo, anche dopo l’approvazione dello schema di decreto da parte del Consiglio dei Ministri del 5 agosto non era chiara la portata di questa piccola rivoluzione. Il balletto dei numeri faceva oscillare l’asticella della cedolare secca sugli affitti tra il 20 e il 25%.

Lo schema di decreto sul federalismo municipale deve essere sottoposto all’esame della Conferenza unificata, ossia del consesso che riunisce rappresentanti del Governo, delle regioni e degli enti locali, nonché della commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo. La Conferenza unificata ha esaminato lo schema di decreto sia nella seduta del 23 settembre che in quella del 7 ottobre, senza tuttavia venirne a capo. La Commissione parlamentare, dal canto suo, non ha mai trattato l’argomento.

I comuni non accettano che la stretta decisa con i tagli in manovra diventi una misura irreversibile. Temono quindi che la cedolare secca e le imposte sugli immobili e sull’occupazione degli spazi pubblici previste dal decreto non bastino a compensare l’abolizione dei trasferimenti statali. Questa diffidenza mina la possibilità di un accordo.

Non tengono conto, però, degli effetti che una cedolare al 20% sugli affitti avrebbe sul mercato immobiliare. Molti proprietari oggi non considerano un buon affare mettere i loro immobili a disposizione di estranei, perché a fronte degli ordinari rischi che si corrono ad affittare una casa (in primis la cattiva manutenzione degli interni e la morosità dell’affittuario) vedono il reddito derivante dall’affitto tassato per quasi la metà dell’importo (l’aliquota IRPEF più alta è del 43%). Il gioco non vale la candela, insomma, se a rischiare sono io e a guadagnarci lo Stato.

Molti proprietari ritengono poi che l’evasione fiscale consenta una remunerazione tale da giustificare il rischio di esser beccato dalla Guardia di Finanza.
La cedolare secca al 20% conterrebbe l’evasione fiscale e condurrebbe ad un aumento dell’offerta di immobili in affitto. È quindi plausibile che le entrare erariali non subirebbero una riduzione, anzi un recupero di gettito.

I benefici per chi cerca casa in affitto sarebbero, invece, evidenti e non di poco conto. Oggi il proprietario tende a scaricare sull’affittuario l’onere fiscale. Il proprietario stabilisce l’importo che ritiene sufficiente a giustificare il rischio; esempio: il proprietario di un appartamento a Roma si dice disposto ad affittare il suo appartamento solo se riesce a ricavarne 1000 euro. Per poter ricevere tanto, deve esigere un affitto di 1600 euro. Di fatto, quei 600 euro di tasse sono a carico sia del proprietario che dell’affittuario. Il giorno dopo l’entrata in vigore della cedolare secca, l’inquilino potrà chiedere una riduzione dell’affitto di 300 euro al mese, perché il proprietario vedrebbe comunque garantito un aumento del reddito di 40 euro al mese.

Paradossalmente lo Stato, mediante una tassazione elevata, è il principale responsabile delle difficoltà economiche che incontrano le famiglie che vivono in affitto. La cedolare secca sugli affitti probabilmente non suona bene quanto gli slogan che fanno appello all’edilizia popolare e al mutuo sociale, ma sarebbe più efficace e darebbe sollievo alle tasche di un numero maggiore di famiglie.

Autore: Diego Mengon

Fonte: Libertiamo.it

http://www.libertiamo.it/2010/10/22/a-proposito-ma-che-fine-ha-fatto-la-cedolare-sugli-affitti/

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Il Governo si appresta a far pagare l’Ici alla Chiesa

La futura imposta municipale potrebbe abbattersi su ospedali, scuole, alberghi e circoli degli enti ecclesiastici. La novità celata in un comma del decreto sul federalismo fiscale, che potrebbe fruttare 1 miliardo di euro all’anno

Permettere alle amministrazioni locali di fare cassa (altrimenti il federalismo chi lo paga?) e scongiurare la procedura per aiuti di Stato avviata dalla Commissione Ue, che potrebbe implicare il recupero delle tasse fin qui non pagate.
Sarebbero queste le ragioni sottese a un comma al decreto sul federalismo fiscale municipale approvato dal governo lo scorso 4 agosto e ‘mai pubblicizzato’, sostiene Alberto D’Argenio su Repubblica.it.
L’articolo 5 del decreto che introduce l’Imu (imposta unica municipale) cancella infatti le controverse esenzioni accordate alla vecchia Ici. Tra queste, gli esoneri previsti per i soggetti “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. Ovvero ospedali e cliniche legate alla Chiesa,scuole privatealberghi e resort del mondo cattolico e circoli che dal 2014  dovranno operare in regime di concorrenza, versando le stesse tasse imposte agli altri imprenditori privati.
Il testo potrebbe essere ancora modificato, ma se verrà licenziato con questa norma, secondo le stime, verrebbero così recuperati circa 1 miliardo di euro l’anno.

Il Caso
La Commissione Europea ha annunciato di voler aprire un’inchiesta formale sulle esenzioni dall’Iciconcesse dall’Italia allo Stato del Vaticano. Secondo il governo di Bruxelles le esenzioni, favorendo fiscalmente un solo soggetto e i suoi beni immobiliari, sarebbero incompatibili con le norme europee sul libero mercato e la libera concorrenza.
Va detto che il braccio di ferro fiscale tra amministrazione finanziaria italiana ed enti religiosi va avanti da parecchi anni, prima di sbarcare sui tavoli della Corte di giustizia Europea e costringere la Commissione Ue ad aprire un’inchiesta.

La domanda che molti italiani si pongono e alla quale è chiamata a rispondere ora Bruxelles è la seguente: è giusto che gli immobili di istituti ecclesiastici, di qualunque confessione, beneficino di un’esenzione fiscale per il semplice fatto che l’attività non commerciale – quelle di religione e di culto – prevale su quella commerciale (si pensi alla gestione di case di cura, strutture ospedaliere, alberghi, ostelli, case editrici…)?

“L’ente ecclesiastico – si legge su la Voce.info – è considerato, fiscalmente, sempre e comunque non commerciale, in quanto sottratto a quel giudizio di prevalenza dell’attività non commerciale su quella commerciale, contemplata invece per tutti gli altri soggetti”.

E il patrimonio immobiliare della Chiesa è immenso. Il catasto comprenderebbe 100mila fabbricati, anche se è impossibile determinarne con certezza il numero. Il cui valore si aggirerebbe attorno ai 9 miliardi di euro. Facendo l’esempio di Roma, si parla di 500 chiese, 550 tra conventi  e istituti, 250 scuole, 200 case generalizie, 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 25 case di riposo e ospizi e 18 ospedali.

Bruxelles
inoltre contesta al Vaticano l’esenzione del 50% delle imposte sui redditi (Ires) per le centinaia degli enti ecclesiastici attivi nella sanità e nell’istruzione e chiede la cancellazione dell’articolo 149 (quarto comma) del Testo unico delle imposte (Tuir) che riconosce agli enti ecclesiastici lo status d’ufficio di enti non commerciali.

Fonte: Virgilio.it

http://notizie.virgilio.it/cronaca/vaticano-ici-chiesa.html

Leggi anche: Vaticano Real Estate, l’ICI della discordia vale 2 milioni di euro


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Il settore immobiliare cinese sta per collassare

Lo prevede il noto esperto Kenneth Rogoff, che parla di gravi contraccolpi sul sistema bancario del Paese. Rischia di spalancarsi un’altra crisi. Pechino deve ripensare il proprio modello di sviluppo. Ma tra gli analisti ci sono pareri discordi.

Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) –  “Stiamo per assistere al collasso nel settore immobiliare [cinese] e questo colpirà il sistema bancario”. Kenneth Rogoff, professore di economia all’università di Harvard ed ex economista capo del Fondo monetario internazionale, nel corso del Forum AsiaPacific Debt Investor spiega che in questo settore “c’è una bolla [speculativa] ed è imprevedibile come [il suo scoppio] colpirà il sistema bancario”, che ha concesso ampi finanziamenti per gli acquisiti immobiliari e rischia di non recuperare i soldi.

Da anni gli economisti concordano che in Cina i prezzi degli immobili, specie nelle grandi città come Pechino e Shanghai, sono cresciuti in modo eccessivo per effetto di una vera speculazione. Dal 2007 il governo ha aumentato le imposte sugli acquisti immobiliari, alzato i tassi minimi di interesse per i finanziamenti nel settore, sta studiando di inserire un’imposta sulla proprietà immobiliare, ma tutto questo non ha arrestato la corsa al rialzo dei prezzi, favorita anche  dalla facilità di erogazione di finanziamenti bancari. Si è solo avuto un rallentamento nelle vendite immobiliari, che a maggio sono scese del 25% rispetto ad aprile. Invece i prezzi a maggio sono saliti del 12,4% rispetto al maggio 2009, secondo un’indagine statale su 70 città grandi e medie. Ad aprile l’aumento annuale era stato del 12,4%.

I forti continui aumenti dei prezzi continuano ad attirare investitori perché in altri settori la ripresa economica è invece, “molto lenta”, con un “elevato” rischio che torni la recessione, come ha pure detto Rogoff in un’intervista alla Bloomberg Television a Hong Kong. Egli considera i prezzi di Pechino e Shanghai “lontani dalla realtà” e teme che se la bolla esplode la crescita cinese può perdere due punti percentuali per vari anni di seguito. L’economista ritiene che un improvviso crollo dei prezzi avrebbe gravi ripercussioni sul sistema bancario, che ha impegnato immense risorse per finanziare gli acquisti che hanno alimentato la bolla speculativa. Egli osserva che gli investitori cominciano a esserne consapevoli e questa incertezza si riflette sulla borsa di Shanghai, che negli ultimi giorni ha avuto le peggiori perdite da un anno. Torna a parlare di una “ripresa a V”, con un primo periodo di risalita cui può seguire una nuova contrazione dell’economia.

Nel 2009 i finanziamenti nel settore immobiliare hanno raggiunto cifre record. Ma di recente molte grandi banche hanno annunciato offerta di azioni per aumenti di capitale, operazioni che spesso mascherano gravi situazioni di perdita finanziaria (ad esempio per impossibilità o difficoltà a recuperare i prestiti erogati) che si vogliono ovviare, appunto, con robuste immissioni di capitale. La Agricultural Bank of China Ltd. ha annunciato una ricapitalizzazione tramite offerta al pubblico per 30 miliardi di yuan (circa 20,1 miliardi di dollari).

Altri esperti non condividono l’analisi e sono convinti che il settore immobiliare “non sia surriscaldato – come dice Stephen Roach, presidente di Morgan Stanley Asia Ltd. – e la domanda immobiliare è molto, molto solida”.

E’ un fatto che di recente gli esperti di Goldman Sachs Group INc, di BNP Panbas SA e di China International Capital Corp. hanno abbassato la previsione per il Prodotto interno lordo cinese per il 2010 dall’11,4% al 10,1%, per l’annuncio del governo di prossime rigide misure per il controllo monetario.

Anche l’economista Sun Mingchum ritiene che “l’esplosione della bolla speculativa immobiliare avrà solo un effetto limitato sull’economia reale e il sistema bancario”.

A sua volta Xu Shaoshi, ministro per il Territorio e le Risorse, ritiene che i prezzi immobiliari possano presto diminuire in alcune regioni, ma senza gravi contraccolpi.

Secondo Rogoff, invece, la Cina deve “ripensare la propria strategia” di sviluppo, perché “è impossibile” che la crescita delle sue esportazioni possa continuare “come nel passato”.

Fonte: Asianews.it

http://www.asianews.it/notizie-it/Il-settore-immobiliare-cinese-sta-per-collassare-18861.html

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