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Il valore della mediazione

Infiamma la polemica per l’interesse mostrato da Altroconsumo (associazione ti tutela dei consumatori) sul compenso provvigionale richiesto dalle agenzie immobiliari in Italia. Non se ne sentiva realmente la necessità, o almeno non nelle modalità in cui si è fatto.

I motivi sono vari e molteplici. L’agente immobiliare riveste un ruolo sociale (come da me in un’altra occasione evidenziato), e presta sia un’attività imprenditoriale (ovvero assume a sè dei rischi) che una professionale (mette a disposizione le proprie competenze) al fine di risolvere l’esigenza dei propri utenti. Sembra poco? Potremmo fare l’elenco delle attività poste in essere dal mediatore a favore dei propri clienti, anticipando ogni spese per l’esecuzione e ricevendo compenso solo alla conclusione dell’affare. Anzi, direi che vada proprio fatto.

Visiona e valuta l’immobile, o quanto meno indica un prezzo di vendita quanto più corrispondente agli umori del proprio mercato;

accompagna i clienti alla visita degli immobili, e oggi i clienti di immobili ne vorrebbero vedere mille, senza che paghino un cent per quest’attività o che il mediatore abbia garanzia che questi acquisiscano nel breve una proprietà;

intavola una trattativa tra le parti al fine di equilibrare e far incontrare domanda e offerta;

offre assistenza tecnico-legale avvalendosi di professionisti con cui collabora e spesso esonerando le parti dall’ulteriore onere nascente; 

assiste le parti fino al rogito notarile, collaborando con il notaio nella raccolta della documentazione necessaria, nell’espletamento degli adempimenti di legge (vedi antiriciclaggio et similia), e le accompagna fino al momento della firma;

offre la propria disponibilità anche in sede di post rogito in quello che possono essere adempimenti successivi (volture, condominio, etc.)

Se pensiamo che la legge all’art.1754 e ss del Codice Civile determina che un mediatore è tale, e per tal motivo deve ricevere un compenso, perché mette in relazione due parti per la conclusione di un’affare, possiamo ben dire che il mediatore professionista va ben oltre quello che basterebbe a garantirgli il diritto ad una provvigione.

Quanto costa la provvigione non è possibile definirlo, perché ogni piazza ha il suo uso (che è depositato presso ogni Camera di Commercio), e se è vero come è vero, che la tendenza è richiedere il 3% ad ambo le parti, è anche vero che non lo si chiede per gusto o capriccio, bensì perché è ritenuto dai più equo compenso per le attività svolte come su elencate. Questo compenso copre tutti i costi per l’esecuzione dell’attività, e la legge in effetti preveda che venga concordato.

Su una mediazione per un immobile medio dal costo di € 150’000, il compenso al netto di imposta è pari a € 4’500 per ambo le parti, a cui ovviamente si assommano gli altri costi vivi di compravendita a carico del compratore. Il punto è questo: ci si è mai chiesti cosa si paga con questa somma? Si è mai andati ad approfondire quali sono i servizi erogati e la qualità degli stessi? L’utenza siamo certi che abbia chiaro quante persone vengono impegnate nella fornitura di questa attività professionale oltre al mediatore stesso? Davvero il valore della prestazione lavorativa in Italia è tanto poco degno di rispetto?

Certo, diverso è il caso in cui non si ha percezione di un servizio di qualità, se non si ha sentimento di rispetto verso l’attività professionale, se il lavoro viene percepito quale latrocinio gratuito. Io credo che il problema stia alla base, stia al modo di intendere il rispetto del lavoratore (e quindi del professionista) in Italia.

Io sono certo che tutto si possa tradurre anche in una problematica psicologica che si può tradurre così: io venditore (magari dopo anni di sacrifici) arricchisco qualcuno attraverso l’alienazione di un bene mio e solo mio, io acquirente pago qualcuno per avermi fatto acquistare un immobile con soldi miei che avrei comprato anche da solo e forse avrei pagato meno. L’esperienza mi dice che molto spesso accade questo. Siamo allora certi che nel caso di ispecie se anziché pagare € 4’500 se ne pagassero € 3’000 il compenso si percepirebbe come equo e giustificato? Io credo di no, sarebbe sempre troppo.

Questo è il motivo per cui la categoria non è propensa a scontare le provvigioni, per il semplice motivo che non c’è un motivo.

Non vale di più un professionista che si fa pagare meno, ma vale tanto un professionista che assegna un valore alla propria attività, la affronta con professionalità e ottenuto il risultato chiede al cliente il riconoscimento ad un compenso come a suo tempo già concordato.

Certo il 12% complessivo che paga un compratore sul prezzo d’acquisto (stima Ocse, e calcolatrice alla mano nel caso dell’acquisto di prima casa) è tanto elevato a causa di quel 3% a favore del professionista, e comunque quantificabile quale servizio percepito, o come sempre è la pressione fiscale indiretta a gravare? E la disparità di trattamento fiscale all’atto d’acquisto tra prima e seconda casa, che se da una parte attacca gli investitori come una sorta di patrimoniale camuffata, dall’altra li disincentiva e mette nelle condizioni di tenersi alla larga da fare investimenti immobiliari? L’Iva sui trasferimenti immobiliari, che azzanna chi vuole acquistare un immobile nuovo? Non ci sono altre e ben più pesanti voci di spesa nel bilancio generale per l’acquisto di un immobile? Io dico si.

Un invito ad utenti e consumatori: chiedete il massimo e avrete il massimo, a quel punto il minimo che potrete fare è pagare quanto pattuito con il professionista.

Andrea Russo

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Condivisione e collaborazione

Il ruolo sociale del mediatore

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FIAIP Bergamo: sindacato è (anche) agevolazione al business degli associati

Lettera aperta agli agenti immobiliari

Si legge spesso sui blog, forum e siti internet della “real estate community” italiana (non parliamo poi su Facebook e i social network) l’appello a considerare le associazioni degli agenti immobiliari come sindacati puri, privi di qualsiasi valenza business. Concordo sulla rappresentanza delle associazioni di categoria verso istituzioni ed enti pubblici. A Bergamo lo stiamo facendo, e sempre più lo faremo: siamo interlocutori dei Comuni (e delle forze politiche, e della stampa, e della pubblica opinione) su urbanistica, piani di governo del territorio e politiche per la casa. Abbiamo rapporti istituzionali con la Camera di Commercio, il Notariato, i consumatori. Convengo che le associazioni di categoria degli agenti immobiliari debbano “fare sindacato”, tutelando i giusti interessi degli iscritti. Tuttavia gli associati, a differenza di un sindacato, non sono lavoratori dipendenti ma imprenditori, grandi medi e piccoli, e le associazioni di riferimento sono “associazioni datoriali” che rappresentano attori della scena economica. Nella mission di un’associazione di imprenditori non può mancare l’agevolazione del business degli imprenditori. La vexata quaestio se dobbiamo essere “più sindacato” o “più servizi” si risolve a parer mio con l’et-et e non con l’aut-aut. Chiaramente ci vuole equilibrio, le associazioni non possono diventare franchising o negozi di chincaglieria per gli agenti immobiliari che rappresentano. Ma vengo a degli esempi concreti tratti dall’esperienza di presidente Fiaip Bergamo.

1. Una grande agenzia immobiliare ci si rivolge per ricercare una posizione dirigenziale: cosa dovevamo fare? Lasciar correre, alzando la bandiera dei puristi del sindacato? E perché mai? Perché sprecare il buon nome dei nostri agenti immobiliari, buon nome che ha spinto l’agenzia a rivolgersi a Fiaip Bergamo? Pur non essendo noi cacciatori di teste e non facendo collocamento, ho deciso di diramare la notizia agli associati (facendo da filtro e tutelando la privacy dell’agenzia immobiliare richiedente), e sono giunte diverse candidature: se son rose, fioriranno.

2. Una banca ci chiede di dismettere il suo patrimonio immobiliare: lasciamo perdere, siamo sindacalisti puri? Facciamo i furbetti e dirottiamo la richiesta su una società business oriented creata ad hoc da qualche insider, scavalcando l’associazione grazie al cui prestigio è arrivata la richiesta della banca? O troviamo una formula che permetta di non precludere business ai nostri associati?

3. Con il nostro Servizio formazione permanente dal 2002 facciamo a Bergamo corsi di “filosofia dell’agente immobiliare”, da sindacalisti duri e puri, o non offriamo piuttosto – a costo zero per i nostri associati – formazione concreta rivolta al business (e alla soddisfazione del cliente, che è la stessa cosa secondo noi), aggiornamento normativo, acquisizione, vendita, negoziazione, web marketing ecc.?

4. Siamo socio collettivo di Confindustria Bergamo, associazione datoriale di livello culturale altissimo, superiore a molte facoltà universitarie: con loro ci eleviamo in sottili disquisizioni sui grandi economisti – filosofi Ricardo, Smith e Marx, o non piuttosto mandiamo ai nostri agenti immobiliari associati le offerte immobiliari degli industriali bergamaschi, e inviamo a Confindustria una newsletter con le nostre proposte di business?

5. Facciamo una convenzione con il Notariato bergamasco: anche qui, ci perdiamo in fiumi di parole a sfondo deontologico, o non piuttosto delineiamo modalità di collaborazione operativa concrete tra agenti immobiliari e notai, per agevolare business degli associati e tranquillità del consumatore, nostro datore di lavoro e giudice?

6. Poteva mancare una convenzione con un pool di avvocati e commercialisti per offrire consulenza (gratuita) ai nostri associati bergamaschi? Poffare, ma non sarà una cosa troppo business?

Potrei continuare a lungo, le nostre convenzioni provinciali sono una trentina e campeggiano sui siti internet. Mi sovviene la massima di mio padre, “una cosa fare, e l’altra non tralasciare”. Certo per fare bisogna essere iscritti e coordinarsi in un’associazione, unica entità dotata di rappresentanza di categoria. Laddove gli utilissimi forum internet e Facebook sono (al meglio) fucina di brainstorming, parole in libertà che poi devono trovare verifica nel mondo reale. Le parole sono pietre diceva qualcuno… ma poi appunto devono trasformarsi in cose concrete, e qui bisogna uscire dal web e sporcarsi le mani tutti i giorni per gli associati.

Giuliano Olivati
Presidente Fiaip Bergamo

www.fiaipbergamo.it

Risoluzione Agenzia delle Entrate del 5.10.2010: La “prima casa” si estende ad una sola pertinenza

La cessione della seconda pertinenza di un immobile abitativo oggetto di agevolazione prima casa sconta l’IVA con aliquota al 10%: la pertinenza acquista per attrazione la natura di immobile abitativo ma, data la normativa sulla prima casa, che consente di agevolare una sola pertinenza per ciascuna categoria catastale tra C2, C6 e C7, alla cessione della seconda pertinenza non può applicarsi l’aliquota del 4%.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 94/E/2010, che illustra il corretto trattamento fiscale da riservare, ai fini IVA, alla cessione della seconda pertinenza di un immobile abitativo, oggetto di agevolazione prima casa, al cui servizio è già posto un altro immobile della medesima categoria catastale (nella specie, si tratta di autorimesse – categoria catastale C6).
La pertinenza acquista per attrazione la natura di immobile abitativo ma – data la normativa sulla prima casa, che consente di agevolare una sola pertinenza per ciascuna categoria catastale tra C2 (magazzini e locali di deposito), C6 (autorimesse, stalle, scuderie) e C7 (tettoie chiuse o aperte) – alla cessione della seconda pertinenza non può applicarsi l’aliquota del 4%.
La seconda pertinenza, pertanto, deve essere trattata come un fabbricato abitativo diverso dalla prima casa e la relativa cessione in regime di imponibilità IVA comporta l’applicazione dell’aliquota agevolata del 10%.

Autore: Avv. Massimo Chimienti

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