A seguito del crescente successo tra i nostri lettori continuano le interviste ad esponenti del settore immobiliare. Oggi vi proponiamo quella che ci ha rilasciato Stefano Lascar, che con una laurea in filosofia all’Università di Pisa e una preparazione in comunicazione non verbale, da oltre 20 anni come Studio Lascar propone corsi di formazione ad operatori del settore immobiliare, offrendo un punto di vista privilegiato sul settore.
d. Bando agli indugi: come è cambiata la professione in questi decenni?
r. Dal punto di vista strettamente pratico sono cambiate molte cose. È cambiata l’ubicazione tipo dell’agenzia che adesso è su strada, sono cambiate le forme di pubblicità (dalla “carta” si è passati al web), c’è stata un’integrazione dei servizi, è cambiato il modo di gestire le informazioni e dal cartaceo si è passati all’informatizzazione e molto altro ancora. Alcuni di questi cambiamenti sono stati una semplice “trasposizione” da uno strumento all’altro, mentre altri hanno determinato anche un cambiamento delle procedure.
Le difficoltà di relazione col cliente invece, non sono cambiate, anzi forse sono aumentate (penso soprattutto all’acquisizione).
Nella sostanza più profonda però, per molto tempo, non è cambiato molto e solo in questi ultimissimi anni si osservano dei veri cambiamenti determinati soprattutto dalla crisi del mercato e dall’elevato regime di concorrenza che 20 anni fa non si poneva così forte. In pratica, per trovare dei cambiamenti veri non è necessario fare una retrospettiva di 20 anni, è sufficiente guardare quel che è accaduto negli ultimi 6-7 anni, cioè da quando il mercato è entrato in crisi.
Tuttavia è necessario distinguere tra cambiamenti del contesto operativo e cambiamenti nell’esercizio della professione.
Per quanto riguarda il contesto, fino al 2006-2007 il mercato immobiliare somigliava alla conquista delle terre dell’ovest in America: bastava esserci e darsi da fare per avere risultati apprezzabili e fatturati soddisfacenti. Oggi non è più così e il mercato immobiliare ha tutte le caratteristiche di un mercato maturo nel quale per operare bisogna essere qualificati e in grado di offrire un reale valore aggiunto al cliente.
A questa repentina “intensità di cambiamento”, gli agenti immobiliari stanno reagendo molto lentamente, spesso continuando ad adottare vecchi schemi di lavoro (adatti ad un mercato quantitativamente e qualitativamente diverso) e visioni organizzative non più percorribili.
Proprio nei miei corsi osservo un notevole disorientamento e soprattutto un buon grado di sbigottimento all’indicazione di nuovi, più articolati e più produttivi schemi lavorativi che però fuoriescono dalle visioni tradizionali.
d. L’approccio all’attività di agente immobiliare è spesso soggettivo, su cosa però non è possibile derogare?
r. Per camminare occorrono entrambe le gambe. L’attività di agente immobiliare richiede un mix di competenze, tutte utili e necessarie. Non credo sia possibile fare a meno dell’una o dell’altra. Certo, se si è deficitari su un aspetto è necessario compensare con un altro, ma questo non implica deroghe. Fermo restando che non è possibile andare in deroga su qualcosa, si tratta di tracciare delle priorità.
Tra le priorità è indubbiamente da porre il tema della “abilità sociale” che a sua volta rientra nella più vasta area di quanto viene definito “Intelligenza Emotiva”. Sono ormai innumerevoli gli studi in grado di dimostrare che le persone hanno successo sul lavoro prevalentemente in misura del loro grado di Intelligenza Emotiva (che non è un fattore statico, ma soggetto ad incrementi). L’Intelligenza Emotiva ha molteplici sfaccettare, una di queste è – appunto – l’abilità sociale, cioè l’abilità di relazionarsi con le persone in maniera proficua e reciprocamente soddisfacente.
Dal momento in cui l’attività di agente immobiliare si estrinseca principalmente nello stabilire e mantenere rapporti con persone (clienti, collaboratori, colleghi), la questione dell’abilità sociale diventa centrale. Tuttavia è spesso trascurata sia perché è difficilmente “autovalutabile”, sia perché la tendenza a considerarla e migliorarla deriva da ulteriori requisiti propri dell’Intelligenza Emotiva. Il fatto è che, per quanto concerne le altre abilità e competenze, per esempio quelle di ordine strettamente tecnico legale, è molto facile riscontrare la necessità di un’ulteriore qualificazione (ci si rende conto facilmente di non sapere delle cose che sarebbe necessario sapere). Mentre per quanto riguarda l’abilità nelle relazioni non ècosì: si ha sempre la possibilità di trovare una spiegazione diversa dalle proprie incapacità per spiegare l’insuccesso. Sono i casi in cui tutta la responsabilità dell’insuccesso o delle difficoltà sul lavoro, viene scaricata sul cliente, sui collaboratori, sui colleghi, sul mercato e via dicendo.
Insomma, è fondamentale avere le tendenza ad indagare costantemente sul grado delle proprie abilità in generale e sulla capacità di relazionarsi con gli altri in particolare. Questo significa che a fronte di risultati insoddisfacenti la prima cosa da fare è cercare in sé stessi le cause dell’insuccesso. Affinché ciò sia possibile è necessario mirare a quella maturità e stabilità psicologica senza la quale non è possibile misurarsi con sé stessi e assumersi la responsabilità dei propri insuccessi, questo perché l’individuazione delle proprie responsabilità è il prerequisito fondamentale per il miglioramento di sé e per l’affermazione professionale.
Tutto questo porta alla conclusione che non è possibile fare a meno della volontà di migliorare e superare i propri limiti rifuggendo alibi e giustificazioni, cioè non si può fare a meno della capacità di sviluppare capacità.
È importante precisare che non si tratta di un precetto morale bensì di una necessità. Il mercato di oggi non è più quello di qualche anno fa, ed è il mercato a non concedere deroghe. Chi ritiene di poter andare in deroga su qualcosa è già fuori, è solo una questione di tempo!
d. Quali sono le competenze di cui oggi non si può fare a meno? Quali le aree di miglioramento su cui si dovrebbe intervenire?
r. Come dicevo prima, il mercato immobiliare di oggi è un mercato maturo, quindi virtualmente saturo, esigente e selettivo. Peraltro quando affermo che il mercato non concede deroghe di nessun tipo intendo che non si può trascurare nessuna delle competenze richieste.
Tuttavia la dinamica dei cambiamenti intrinseci del mercato rende prioritarie alcune questioni.
Una di queste è il grado di “alfabetizzazione informatica” sia per la gestione dei dati in agenzia, sia per il web. Mi capita di riscontrare che il grado di informatizzazione è ancora molto basso, troppo basso per essere sufficiente e adeguato al mercato. In molti casi, nelle agenzie, si è passati ad una mera trasposizione al computer di ciò che si faceva su carta, senza sfruttare le infinite potenzialità produttive offerte da una vera informatizzazione. Un buon grado di informatizzazione crea i presupposti per una eccellente gestione delle informazioni, dei clienti, delle notizie, delle richieste, dei processi lavorativi, del tessuto organizzativo, della verifica dell’operatività. Molto spesso le agenzie sono piccole realtà e in virtù di questo si tende a ritenere adeguato uno scarso grado di informatizzazione, mentre invece vale quasi il contrario.
Un’altra questione importante consiste nella necessità di rivedere completamente l’approccio relazionale col cliente, il modo di percepirlo e pensarlo. È necessario che l’agente immobiliare passi dal proporsi come “venditore” o di case (nella vendita) o di un servizio (nell’acquisizione) al proporsi come un consulente professionale che orienta e aiuta il cliente nella sua operazione immobiliare (che spessissimo ormai è quella del cambio-casa e non più quella della sola vendita o del solo acquisto). Così come non è più sufficiente che – nella vendita – “accompagni” il cliente a vedere l’immobile in questione, nell’acquisizione non è più sufficiente che veda la casa semplicemente come un immobile da vendere. Insomma è necessario che l’agente immobiliare ritrovi un terreno di contatto col suo cliente. Un terreno di contatto fondato sugli effettivi bisogni del cliente e non su quelli che l’agente immobiliare – aprioristicamente – ritiene che il cliente abbia.
È su quest’ultimo tema che si gioca e si giocherà la partita della “disintermediazione”: quegli agenti immobiliari che continueranno a concepirsi esclusivamente e meramente come l’interlocutore commerciale di colui che vuol vendere o comprare un immobile, presto saranno sostituiti dai vari portali. Infatti, i portali offrono alle parti la possibilità di mettersi direttamente in contatto scavalcando l’agenzia immobiliare.
Il futuro dell’agente immobiliare implica un salto qualitativo: una (mega-)area di miglioramento, che si pone tra il marketing e le abilità sociali/relazionali, dettata dalle dinamiche del mercato e dalle nuove tecnologie.
d. Viviamo un momento storico dove la congiuntura economica ha dato vita ad una crisi strutturale, come ripartire per rimettere in moto il sistema?
r. È una questione di ampia portata, alla quale posso soltanto dare il mio contributo per quello che è il mio specifico professionale ed il mio punto di osservazione della realtà.
Una considerazione immediatamente riconducibile alla mia esperienza di formazione e di consulenza aziendale deriva dal riscontrare, molto frequentemente, una sorta di “immobilismo strategico” di fronte alla crisi. Il mercato va male, i risultati non arrivano, ma si continua a lavorare e ad operare esattamente come quando il mercato non era in crisi. Un mercato in crisi è un mercato con caratteristiche diverse da quelle di un mercato fiorente, quindi non può essere affrontato con gli stessi atteggiamenti e le stesse modalità, come se niente fosse cambiato; sarebbe come pretendere di uscire di casa indossando abiti leggeri in una giornata di pioggia in virtù del fatto che il giorno prima c’era il sole.
Bisogna imparare ad accettare l’idea che un cambiamento nello stato generale delle cose richiede un cambiamento nello stile lavorativo. Molto spesso invece imperversa un sostanziale “attendismo”, cioè un atteggiamento all’insegna del lasciare tutto inalterato aspettando che il mercato e le cose in generale tornino come prima.
La “volontà di conservazione” non si osserva soltanto nella resistenza ad adottare nuovi stili di lavoro, ma anche nel percepire tardivamente i segnali che lo scenario, nel quale si opera, sta cambiando. Già nel 2008-2009 affermai e cominciai ad “avvisare” gli operatori del settore, che la crisi che si stava configurando aveva caratteristiche strutturali e che sarebbe stata profonda e duratura; proposi quindi nuovi stili lavorativi, procedurali e organizzativi. Trovava però molto più consenso l’affermazione che la crisi era soltanto congiunturale ed esclusivamente legata a fattori tali per i quali era sufficiente accettare un periodo di assestamento.
Oggi posso vivere la soddisfazione professionale di osservare che le agenzie con le quali sono in stretto contatto consulenziale mantenevano stabilità organizzativa e crescita dei fatturati mentre altri operatori erano già costretti dalla crisi a cessare le attività. Ancora oggi per quanto risentano inevitabilmente della crisi, mantengono stabilità aziendale, sono “compresse” dalla crisi, ma non in fase involutiva. Tutto questo perché avevamo rimodulato procedure e stili lavorativi ai primi segnali del mercato e, quando la crisi è arrivata in tutta la sua drammaticità, eravamo pronti all’impatto.
In ogni caso resta l’avere riscontrato quella prevalente e ostinata resistenza, quando all’inizio della crisi, si proponeva un’analisi della situazione diversa dal consueto.
Per rimettere in moto il sistema bisogna imparare ad accettare, in prima persona, la responsabilità dei cambiamenti. Bisogna imparare ad avere fiducia nella propria capacità di gestire e controllare la propria vita e il proprio futuro professionale e imprenditoriale: bisogna avere il coraggio di fare!L’unica strada percorribile per uscire dalla drammatica situazione nella quale ci troviamo, è smettere di cercare alibi e giustificazioni ai propri insuccessi, assumersene la responsabilità e coglierne l’occasione per diventare più bravi e realizzare quanto si desidera.
In conclusione: deve essere abbandonato quell’atteggiamento per il quale si ritiene che i cambiamenti debbano essere elaborati e adottati dagli altri e non da noi; quell’atteggiamento spesso rappresentato da frasi del tipo «qui se non cambia qualcosa ….», «se non fanno qualcosa per cambiare la situazione …».Al contempo bisogna abbandonare la convinzione che ciò che andava bene ieri possa andare bene anche oggi. Bisogna scrollarsi di dosso quella pigrizia per la quale, pur di non dover fare la fatica di imparare nuovamente il modo migliore di lavorare, si è indotti a disconoscere cambiamentievidenti.
Il mondo è diventato estremamente dinamico e il futuro appartiene a chi è pronto a mettersi in discussione in ogni momento. Questo significa che la risposta è nella valorizzazione delle Risorse Umane, quindi negli strumenti cognitivi e culturali per comprendere i cambiamenti e padroneggiarli.
La settimana prossima pubblicheremo la sesta intervista, nel frattempo per chi lo volesse qui di seguito i link delle interviste precedente.
Le interviste: “Il futuro dell’immobiliare in Italia”
Massimiliano Pochetti di Casashare
Raffaele Racioppi di Condivisione Immobiliare
Giuliano Olivati Presidente FIAIP Bergamo
Giuseppe Pizzuti di RE/MAX Italia
A.R.
twitter @andrearussore
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