I tre motivi più milleuno per cui il mercato immobiliare rimarrà stabile
Avvertenza: questo post è stato scritto in due momenti, la prima parte risale al 29 agosto 2015, la seconda a data odierna 24 gennaio 2016.
29 Agosto 2015 – Mi sono preso qualche mese di pausa per decidere se scrivere ancora di immobiliare o no. Il motivo risiede in quel bisogno atavico e fisiologico di dedicarsi ad altro ogni tanto per non avvitarsi in manierismi redazionali e scadenti invettive di cui è piano il web. In questi mesi però, avendo continuato a vivere di immobiliare, non ho distolto la mia attenzione da quello che succede intorno a me.
Ho ascoltato, letto, analizzato (con i miei tempi e la mia personale visione) la situazione in cui ci troviamo tutti, nessuno escluso.
Almeno dal secondo dopo guerra, la grande leva dell’economia italiana risiede nel mercato immobiliare, ovvero edilizia e commercializzazione, cemento e sudore. Oggi ne sono esempio il fatto che il Presidente di Confindustria è Giorgio Squinzi di Mapei (succeduto ad Emma Marcegaglia, vice presidente dell’azienda di famiglia che ha ben più di un interesse nel settore immobiliare e nelle costruzioni in genere), che una delle più grandi aziende passate di mano quest’estate è quell’ItalCementi con oltre 100 anni di storia alle spalle ceduta ai tedeschi della Heidelbergcement, che gli Agnelli tramite Exor, loro cassaforte di famiglia, hanno prima ceduto la loro quota di maggioranza in Cushman & Wakefield reinvestendo subito dop virando Assicurazioni ed Editoria (PartnerRe e The Economist in veste di primo socio) ritenute più interessanti per diversificare i propri interessi.
Insomma, oggi tutto verte sul mattone: finanza, politica, economia reale.
Tant’è che ormai non si fa altro che parlare di immobili come sinonimo di bancomat di stato, dato che le imposte immobiliari sono cresciute a dismisura negli ultimi 10 anni (+143% dal 2011 al 2014), e siamo in attesa di capire cosa accadrà con la rivalutazione degli estimi.
Ecco, allora, che appare chiaro come il settore non possa sperare in clamorosi exploit nel prossimo futuro, in quanto investire negli immobili (e nell’edilizia in genere), se non a prezzi da saldo, non ha appeal per i grandi capitali (dimentichiamoci poi “furbetti del quartierino” e compagnia cantante), tranne qualche grosso investimento che non mira a conquistare immobili in se ma pezzi di Italia (vedi il Fondo sovrano del Qatar che acquista un pezzo di Milano).
In Italia da troppo tempo assistiamo a politiche economiche poco chiare che non riescono a contrastare un elevato tasso di disoccupazione che tiene fuori dal mercato una grande fetta della popolazione (se gli under 35 sono disoccupati, significa che non potranno acquistare una casa e i millenials non ambiscono più alla proprietà ma all’uso), e che vedono nel patrimonio immobiliare privato un bene pubblico da cui attingere risorse.
A questo punto mi sento già di dire che le transazioni si manterranno a livelli fisiologici in quanto non più acquisto compulsivo o bene rifugio ma necessità, per un divario ancora troppo ampio tra reale potere d’acquisto e richieste di mercato.
Ma, sempre secondo il mio parere, il più grande e meno tangibile quanto enorme elemento di freno è la drammatica decrescita demografica che non prevede il bisogno di un incremento del parco immobili in assenza di saldo demografico attivo (dimentichiamoci, anche, una nuova generazione di baby boomers), e forse anche in questo senso l’immigrazione si rivelerà tra qualche anno stimolo all’aumento di fabbisogno residenziale (mica potranno sempre vivere nei C.A.R.A. o in altre strutture ad oggi dedicate alla gestione dell’emergenza migranti).
Ecco, magari vivremo momenti più vivaci tra qualche anno, il che significa un tempo indefinito nel quale assisteremo ad un mercato di sostituzione, per quanto riguarda il comparto residenziale, con prezzi che piano piano si allineeranno sempre di più alla reale capacità di spesa (se i redditi non salgono devono per forza scendere i prezzi, e in tal senso viviamo anni di deflazione). Nel frattempo l’unica speranza per l’edilizia è che davvero parta un piano di riqualificazione immobiliare (che andrebbe sostenuto da politiche economiche adeguate) che risani un patrimonio immobiliare altrimenti destinato a depauperare sempre più il suo valore, al dispetto di una pressione fiscale destinata a mantenersi su alti livelli.
24 gennaio 2016 Oggi rileggo il post di cui sopra e decido, finalmente, di pubblicarlo con una ulteriore certezza: il tam tam mediatico che mira a proclamare dati di crescita e di miglioramento del mercato, nel breve periodo potrebbe rivelarsi un freno alle transazioni in quanto chi non ha reale esigenza di vendere non solo manterrà il proprio immobile sul mercato ma magari inizierà ad ambire a cifre maggiori.
Con un parco immobiliare che conta su uno stock di centinaia di migliaia di immobili in vendita (fatevi un giro sul web e vi renderete conto di cosa parlo), facili ottimismi non hanno senso perché non siamo di fronte ad una inversione di tendenza, tutt’altro. Se i prezzi non continueranno la loro discesa (cosa che probabilmente accadrà per un paio di anni), se gli operatori immobiliari non si preparano ad armonizzare il mercato verso valori reali, se continuiamo ad inondare il web di immobili che non verranno mai venduti, se chi davvero vuole e deve vendere non si affretta a farlo, non ci potrà essere alcuna ripartenza.
Che poi, diciamolo francamente, stiamo parlando di alcune decine di migliaia di compravendite in più segnate nel 2015 rispetto al 2014, che fanno di un malato lungo degente, un malato lungo degente ma con un decorso incoraggiante.
Inoltre, la qualità degli immobili sul mercato è nella grande maggioranza davvero scadente, con prezzi che spesso non sono basati su alcuna argomentazione, e con un’attenzione al messaggio pari quasi a zero.
Mentre l’estate scorsa maturavo la mia decisione di ritornare nel mercato immobiliare rivestendo i panni dell’agente immobiliare (per dirmi consulente devo studiare ancora un po’), non coglievo ottimismo nei miei ragionamenti, ma soltanto una grande opportunità.
Oggi non bisogna fare grandi cose per vendere un immobile, bisogna agire con diligenza e ordine, decidendo con quali clienti lavorare e quali è meglio evitare, dedicare le proprie attenzioni al mercato reale, alle persone che hanno davvero necessità ed interesse a concludere una transazione immobiliare. Se tutti gli altri venissero “emarginati” dal mercato, se sul mercato non finissero, anche per mano degli operatori, immobili ad oggi non vendibili e dei quali i proprietari non sono davvero interessati ad alienarne la proprietà, sono certo che ne avremmo tutti dei benefici.
Come sempre tutto si deve tradurre in un cambiamento culturale, la soluzione sta nella ricerca di qualità nella quantità, nella voglia di fare la differenza e non di subire in maniera indifferente il mondo in cui viviamo.
A.R.
Pubblicato il 24 gennaio 2016 su Post. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 1 Commento.
Sono estremamente concorde sulla tua tesi, parlare di mercato immobiliare italiano è solo uno slogan, occorre segmentare il mercato per tipologie e dividerlo geograficamente perlomeno per i grandi, medi e piccoli comuni. Io opero a Milano e devo dire che ho osservato in alcune zone del fermento al ribasso. Inoltre nelle zone ancora più periferiche le dismissioni aler in massa senza vincoli dei 10 anni , faranno calare drasticamente i prezzi di anche di oltre il 50%