Banche al ballo del mattone
Prima il salvataggio Risanamento. Poi l’operazione Pirelli Real Estate. Così gli istituti di credito stanno correndo in aiuto dei gruppi immobiliari. Per evitare grosse perdite sui propri investimenti.

Marco Tronchetti Provera
Neppure il tempo di evocarla da lontano, addirittura dal Brasile, dove Marco Tronchetti Provera, interpellato dai giornalisti, martedì 10 novembre ha auspicato una pronta soluzione per i problemi immobiliari del gruppo. Detto? Fatto. E così, il giorno dopo, un prudentissimo comunicato stampa ha annunciato le prossime possibili nozze tra Pirelli Real Estate e la Fimit gestita da Massimo Caputi, l’uomo di fiducia del sistema bancario sul fronte del mattone.
Non c’è ancora nulla di definito, spiegano i portavoce delle due parti in causa. Ma la macchina ormai si è messa in moto. Se la fusione andasse in porto, forse già entro la fine dell’anno, nascerebbe un gruppo con oltre 10 miliardi di attività in gestione: case, palazzi, terreni distribuiti su una dozzina di fondi d’investimento. E Tronchetti, grazie ai consigli dell’amico banchiere d’affari Gerardo Braggiotti, all’appoggio di Corrado Passera (Banca Intesa) e al placet di Cesare Geronzi (Mediobanca), può finalmente iniziare a sganciarsi dal business immobiliare, diventato una palla al piede dopo gli anni del boom alimentato dalla bolla finanziaria.
In parole povere, un nuovo paracadute si apre per favorire l’atterraggio morbido di un grande debitore. È un paracadute, per così dire, di sistema, generosamente offerto dai banchieri che in questo modo sperano di puntellare i propri bilanci tutelando quelli altrui.
Non è la prima volta, in questi mesi. Martedì 10 novembre, quasi in contemporanea con l’operazione Pirelli Re, il via libera del tribunale di Milano ha finalmente sdoganato il salvataggio della galassia di Luigi Zunino gestito dagli istituti di credito che ne hanno finanziato l’ascesa, in primo luogo Intesa. E l’operazione, oltre alla holding Risanamento quotata in Borsa e schiacciata da quasi 3 miliardi di debiti, si estende di fatto anche alle società personali dell’immobiliarista ex rampante, esposte per altri 500 milioni verso le banche. Citylife, il nuovo quartiere in centro a Milano nell’area un tempo occupata dalla Fiera, rischia di ridursi ai minimi termini per via dei costi schizzati ben oltre i 2 miliardi. E allora tocca alle banche, Intesa, Unicredit, Popolare Milano e Mediobanca, prendere in mano la situazione per evitare il naufragio garantendo la posizione dei costruttori, cioè le aziende di Salvatore Ligresti e della famiglia Toti. Del resto, proprio Ligresti in ottobre ha sistemato i conti della sua Fondiaria liberandosi di immobili per 530 milioni (con 155 milioni di plusvalenza), collocati in un nuovo fondo, battezzato Rho, creato per l’occasione dal solito Caputi. E perfino Giuseppe Statuto, a suo tempo bollato, forse a torto, come l’ultimo dei furbetti del quartierino, coltiva buone speranze di trovare un accordo con i suoi finanziatori (in prima fila il Banco Popolare tramite Italease) per far quadrare i conti di un gruppo gravato da circa 2 miliardi di debiti. Insomma, vietato fallire per i re del mattone. L’importante, spiegano gli esperti, è “non deteriorare il credito”. Ovvero, in parole povere e brutali, salvare i conti delle banche evitando fin quando possibile di svalutare i crediti concessi negli anni del boom a imprenditori che alla prova dei fatti si sono rivelati degli speculatori avventati. “Il sistema va tutelato”, chiosano alcuni impavidi commentatori. Poco importa se poi nei bilanci dei colossi bancari vengono inserite attività con valutazioni che possono sembrare irrealistiche rispetto a quelle correnti sul mercato. Qualche volta però il meccanismo si inceppa. E allora affiora in superficie il reticolo di potenziali conflitti d’interessi, giochi di sponda, favori incrociati, che avvolge l’intero sistema. Non è un caso che da qualche mese Banca d’Italia e Consob abbiano dato un giro di vite ai controlli sull’attività dei fondi immobiliari.
Per il momento è emerso ben poco. Irregolarità formali sanzionate con ammende di poche decine di migliaia di euro nei confronti dei gestori come quelle che hanno colpito nei giorni scorsi i vertici del gruppo Sorgente sgr. Ma, di recente, i controlli delle autorità di vigilanza si sono fatti più stringenti anche nei confronti dei cosiddetti valutatori professionali. Tocca a loro sfornare le perizie su cui si basano le grandi compravendite immobiliari. Sono questi ‘esperti indipendenti’ a dare l’ok formale agli affari immobiliari che muovono il business del mattone. È un ruolo, il loro, simile a quello svolto dai revisori di bilancio e dalle agenzie di rating, finite sotto accusa quando sui mercati finanziari si è scatenata la bufera. Le nuove disposizioni allo studio della Consob punterebbero a far emergere eventuali conflitti d’interessi. A chiarire con precisione il ruolo svolto dalle grandi agenzie, spesso organizzate sotto forma di network internazionali, che a seconda dei casi possono trovarsi a recitare diversi ruoli in commedia: perito indipendente, consulente di parte, analista di mercato. Ne sanno qualcosa banchieri e gestori di fondi, grandi clienti di superperiti come Reag e Richard Ellis, giusto per citare due marchi tra i più conosciuti. Ma su un mercato per forza di cose ristretto, animato da pochi grandi attori, e spesso, perdipiù, a corto di contante, i rischi di conflitti di interessi e incroci pericolosi appaiono ancora più rilevanti.
Prendiamo il caso di Caputi, vero asso pigliatutto con i fondi della scuderia targata Fimit. Banche come Intesa e Unicredit. Compagnie di assicurazioni come Fondiaria. E poi enti previdenziali del calibro di Enpam (medici), Inpdap (dipendenti pubblici), Inarcassa (notai). Tutti si sono affidati a Caputi per dismettere, guadagnandoci, pezzi importanti del loro patrimonio immobiliare.
Intesa, per dire, l’anno scorso ha iscritto a bilancio circa 100 milioni di profitti vendendo decine di palazzi, alcuni di grandi pregio, al fondo Omega gestito da Fimit. A quest’ultima fa capo anche Omicron, a cui Unicredit ha girato 72 immobili con guadagni complessivi per oltre 440 milioni. I banchieri brindano a champagne, perché queste operazioni, oltre dare una spinta al conto economico, consentono anche di rafforzare i ratios patrimoniali. Tutto bene, quindi. Ma chi paga? Con quali risorse i fondi comprano gli immobili messi in vendita dalle banche? Prendiamo un caso concreto. A dicembre del 2008, come detto, Intesa ha ceduto ad Omega un patrimonio immobiliare valutato 850 milioni. Il fondo si è finanziato per circa 250 milioni con l’emissione di quote e per il resto, poco meno di 600 milioni, si è indebitato. Per i prestiti non c’è problema: è scesa in campo la stessa Banca Intesa insieme ad altre banche. Le quote del fondo invece, secondo quanto recitano i comunicati ufficiali, sono state sottoscritte da non meglio precisati ‘investitori istituzionali’. Tra questi, anche se non ci sono conferme dei diretti interessati, non dovrebbero mancare anche enti previdenziali come Enpam e Inpdap, soci di Caputi in Fimit. Ma in questa complessa partita continua a giocare un ruolo importante anche Banca Intesa, che da principio, a dicembre del 2008, ha conservato in portafoglio il 30 per cento delle quote di Omega. Un altro 23,54 per cento è stato invece rilevato dal fondo pensioni di Sanpaolo Imi, a cui sono iscritti circa 25 mila dipendenti del gruppo creditizio torinese assorbito anni fa da Intesa.
Tutto a norma di legge. Ma non sembra azzardato concludere che Intesa si è costruita in casa la plusvalenza finanziando l’intervento di Caputi. Il quale vanta stretti rapporti d’affari anche con il fondo previdenziale di Sanpaolo Imi. Quest’ultimo, tramite un veicolo lussemburghese, ha investito decine di milioni in un altro fondo di Fimit. Di più, il veicolo lussemburghese, battezzato Emera sicav, annovera tra i suoi quattro consiglieri di amministrazione anche Alessandra Patera, collaboratrice e socia dell’immancabile Caputi.
Caso chiuso, ormai. Adesso tocca a Pirelli Re. Sarà una coincidenza, ma Banca Intesa è il maggiore creditore della holding immobiliare di Tronchetti e anche dei suoi fondi. Pochi giorni prima dell’annuncio delle possibili nozze con Fimit si è saputo che la banca guidata da Passera ha rilevato in proprio un pacchetto del 5 per cento (con un’opzione per raddoppiare la quota) della società di gestione di fondi targata Pirelli. Così, a giochi fatti, se davvero la fusione con Fimit andrà in porto, l’istituto milanese si troverà contemporaneamente ad essere socio di Caputi, creditore di Fimit più Pirelli Re e infine importante finanziatore, nonché sottoscrittore dei fondi immobiliari gestiti dal gruppo. Quando si dice la banca di sistema.
Fonte: Espresso.it
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/banche-al-ballo-del-mattone/2115464/10
Pubblicato il 24 novembre 2009 su Stampa Italiana. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.
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